

Grazie fratello genetico che hai regalato la vita al mio bambino! Non potremo conoscerti di persona, ma continueremo a scriverti tramite l’intermediazione dell’ospedale. Sappi che ti amiamo, che sei parte di noi, che sei una persona stupenda. Non hai regalato la vita solo a mio figlio, ma anche a tutta la nostra famiglia. Pregheremo per te ogni giorno. Il trapianto è andato bene, anche se con qualche complicazione. Forse Enrico a settembre tornerà a scuola.

Ho 29 anni, sono sposata e mamma di due figli; ho una casa, un lavoro e a dicembre mi sono laureata. Avevo tutto ciò che potevo desiderare e non avrei mai immaginato che la mia vita e quella della mia famiglia potessero essere stravolte in un attimo.
A febbraio 2016, dopo la mia seconda maternità, decido di tornare al lavoro. Purtroppo non riesco a lavorare neanche un giorno a causa di una tonsillite che mi costringe a letto. Gli antibiotici non funzionano, anche se provo a cambiarli, e quindi devo correre al pronto soccorso. Dopo poche ore arriva la diagnosi: LEUCEMIA. Come se non bastasse sono quasi in setticemia, e i medici devono prima occuparsi dell'infezione. Trascorro mesi con l'emoglobina a terra, poche piastrine. Purtroppo solo chi lo vive capisce cosa significa stare in isolamento, essere senza forze a causa della malattia, sottoporsi alle chemioterapie e subire i loro terribili effetti collaterali.
Fortunatamente le persone che mi amano non mi hanno mai abbandonata: per chi sta male e trascorre interminabili giornate in un letto d'ospedale, poche parole e un pensiero diventano gesti grandi.
In quei giorni arriva un'altra cattiva notizia, le terapie non sarebbero state sufficienti: avrei dovuto sottopormi ad un trapianto di midollo osseo per avere più possibilità di sconfiggere definitivamente la malattia. Mia sorella, Nicol, viene sottoposta ad esami per verificare la sua compatibilità. I medici ci hanno avvisato: solo 1 su 4 è compatibile. L'alternativa sarebbe ricorrere alla banca dati, ovvero alle disponibilità di tutte quelle persone che hanno deciso di diventare speranze di vita per chiunque nel mondo si ammali di un tumore del sangue e necessiti di un trapianto.
I risultati di Nicol tardano ad arrivare, ma proprio quando stavo perdendo la speranza, arriva la buona notizia: è compatibile! Sono stata fortunata: mia sorella ha potuto salvarmi la vita donandomi il suo midollo, ma lei è straordinaria ed ha fatto molto di più, ha dato vita ad ogni momento di malattia. Mi ha permesso, insieme alla mia famiglia, in particolare ai miei genitori e a mio marito, di continuare a fare la mamma seguendo ogni passo dei miei figli; ha creato un gruppo #teamlulu che non mi lasciava mai sola, così che ogni sera avevo qualcuno con cui ridere in videochiamata, che "faceva la chemio con me". I miei amici c'erano al mio compleanno: quando stavo male e potevo vedere una sola persona hanno percorso tanti km solo per esserci.
Voglio ringraziare ogni dottore, infermiere, oss che ha scelto di fare il suo lavoro col cuore, dedicando del tempo alla persona oltre che al paziente. Il mio grazie va anche a chi si è fermato a riflettere e poi ha pensato a cosa poteva fare. Penso al mio amico Stefano che alla madre chiede "cosa posso fare io?". È venuto a trovarmi in ospedale insieme ad alcuni amici il giorno che ha dato la sua disponibilità a donare ed è diventato potenziale donatore di midollo osseo.
La mia amica Nicole, inoltre, ha organizzato un incontro nella sua scuola per sensibilizzare i compagni alla donazione di midollo osseo: per far capire loro come con un gesto semplice si possa regalare la vita.
Questi ragazzi hanno scelto di mettersi in gioco, di non rimanere indifferenti. Sono contenta che la mia storia sia servita a scuotere alcune persone e che la grande generosità di questi e altri giovani diventi possibilità concreta di vita ed esempio di umanità! Ogni ragazzo che diventa potenziale donatore regala la vita, decide di cambiare con un gesto semplice il destino di chi sta male.
Rubando le parole a una famosa canzone di Marco Mengoni "io credo negli esseri umani che hanno coraggio".
Il mio grazie va a tutti quelli che nella loro quotidianità decidono di diventare donatore.
Noi, forse, da soli, rischiamo di farci travolgere, non è certo una passeggiata e alcuni giorni fatichiamo a vedere un po' di luce, proprio per questo non finirò mai di dire il mio GRAZIE al #teamlulu che è molto più di chi compare in questa foto....è ogni persona che ha scelto di esserci, di preoccuparsi con e per me.
Questo fa la differenza per il malato, sapere che c'è sempre qualcuno a condividere il peso della malattia, a farti parlare di quello che vivi, ma anche a darti l'occasione di ridere, perché se lasci spazio alla tristezza finisci per convincerti di aver perso la tua battaglia ancora prima di combatterla.

Dopo la " brutta esperienza” del primo figlio nato con mega colon non volevo più figli; ma poi ci siamo fatti coraggio ed è arrivato dopo 7 anni Filippo che a due mesi ha incominciato a stare male e dopo due operazioni a 4 mesi la diagnosi di atrasia alle vie biliari non ha lasciato alternative: trapianto e quindi messa in lista. Finalmente a sette mesi, quando Filippo stava sempre peggio ed ho avuto paura di perderlo, arriva il fegato compatibile. Ora a distanza di un anno possiamo solo essere felici e crescere più forti e felici che mai: i miei guerrieri crescono sereni. So e credo che sia giusto non conoscere il donatore ma ogni giorno ringraziamo la famiglia coraggiosa che ha fatto questo immenso regalo ridonando la vita a mio figlio. Ogni giorno nel mio cuore ringrazio e prego per quella mamma ed il suo bambino che è l'angioletto del mio. Mi sento indissolubilmente legata a loro ovunque siano e li abbraccio forte
Tata Camomilla

Ricordo tutto: la piccola stanza ovattata, il tavolo rotondo, i colori, gli odori, il nome del medico che ci assisteva, le parole della psicologa, gli occhi sbarrati dell'altra mia sorella che era con me, le lacrime della mia amica che aveva scelto di non lasciarci sole. Era l’ennesimo improvviso lutto: il 4° in pochi anni. Ricordo il corridoio, i separe' verdi, i macchinari che accoglievano solo la Speranza di una scelta positiva.
È impressionante come la vita, si possa trovare dentro la morte di chi ami.
Dovevamo scegliere noi: due sorelle, entrambe sconvolte, entrambe attonite. Entrambe scoprivamo in quell'istatante cosa fosse la Donazione degli organi, cosa volesse dire scontrarsi con sé stessi: da una parte il cuore, dall’altra la mente. Ragione e Paura. Rifiuto e rabbia verso qualcosa che non avremmo mai voluto scegliere.
Il mio fu un sì istantaneo, forte, combattuto quasi contro un no di mia sorella. Tra paura e dialogo, non c'era una via d'uscita, nostra sorella non ce ne aveva lasciate. Il tempo non lascia tempo se non ai ricordi, alle domande, alla confusione, alla scelta: ore lunghissime che sembravo anni. Abbiamo dato il meglio di noi, abbiamo scelto la vita, nella morte di chi amavamo e amiamo !!!
Abbiamo firmato entrambe, sulla stessa riga, per donare sia organi che tessuti. Abbiamo dato tutto ciò che ci è stato tolto in vita per altre vite. La notte più dolorosa di tutta la mia vita è stata proprio quella dell'espianto. Siamo rimaste in due. Nel giro di una settimana sono entrata a far parte di Aido Parma e da allora, tra momenti difficili come i corsi di formazione che per ovvio motivi, non riesco a fare tutti, e altri più soft, porto in giro il mio cuore, oltre che il mio dolore per sensibilizzare alla donazione come scelta di vita.Da allora mi si è aperta la strada di una consapevolezza profonda, aperta al dono tutto. Non manco mai, a dare il mio piccolo contributo anche per la Donazione del sangue, del cordone ombelicale e del midollo. Mia sorella invece non partecipa, ma silenziosamente mi osserva da lontano e qualche mese fa si è pure lei iscritta ad Aido. Ogni tanto però me la butta lì: "Grazie, allora non avrei detto sì, ma adesso so che abbiamo fatto la scelta migliore"
L'amore a volte passa inosservato, ma esiste.


La sera precedente, alle 20.20, arriva ...

La sera precedente, alle 20.20, arriva la chiamata. Mio marito era a cena fuori con amici, cosa assai rara. Devono richiamare per comunicarmi l'ora in cui partire. Faccio addormentare la mia bimba di tre anni, la guardo con gli occhi gonfi di lacrime, sperando solo di poterla riabbracciare presto. Saluto mia mamma, le dico: pensaci te alla mia bambina...
Si parte. Il viaggio con mio marito è silenzio, abbiamo paura, tanta paura.
Quando arriviamo ci accoglie un’infermiera: i prelievi, la preparazione, le attese... La mattina arriva la conferma: si va in sala. Ho paura, tanta paura. Gli abbracci... Tutto così veloce, non mi accorgo nemmeno di addormentarmi.
Mi sveglio in Terapia intensiva, vedo mia sorella e mio marito, alzo il pollice e chiedo della mia bambina. Due giorni, dormire, nausea, tantissima sete. Finalmente il reparto, le infermiere sono meravigliose, bravissime, sempre attente. Dolori, stanchezza, la ricerca faticosa di un equilibrio. Mia sorella sempre al mio fianco, io che ripeto che ci vorrà tempo... Il giorno della dimissione sento gioia mista a paura, paura del mondo esterno, delle persone. Devo farcela, per me, per la mia famiglia. Torno a casa e tutti al mio paese mi accolgono felici e commossi con striscioni di "Bentornata!". La mia casa, la mia mamma, la mia bambina che torna da scuola e mi trova a casa. Siamo entrambe commosse, mi dice che le sono mancata tanto. Dopo due mesi continuo a cercare un equilibrio quotidiano, recupero energie e con qualche paura cerco di riappropriarmi della mia vita. Un dono enorme, una nuova possibilità di vita, un gesto di profondo amore per il prossimo. Grazie a te,t i custodirò dentro di me con tanto amore e rispetto. Agnese.



Gli anni sono passati, la relazione è finita, ma quella promessa non l’ho mai dimenticata.
Il 13 dicembre 2010, giorno di Santa Lucia, che in alcune regioni porta tanti regali ai “bambini buoni”, sono nel reparto trasfusionale di un grande ospedale di Roma, seduta di fronte ad una dottoressa. Dopo vari accertamenti mi dice: “sa che il prossimo passo è l’effettiva donazione del midollo?”. Ne ero consapevole, ma non volevo illudermi, perché mi avevano chiamato anche qualche anno prima per una probabile compatibilità, poi non confermata.
Marzo 2011, parcheggio di un autogrill, in attesa che il cane faccia i suoi bisognini. Squilla il telefono: “Salve, la chiamo dall’Ospedale. La compatibilità è confermata. Lei conferma la sua disponibilità?”. La dottoressa ancora si ricorda il mio “Wow!!! Sì!!!”. Caso volle che in quel momento fossi in viaggio con A., il quale esce dall’autogrill, mi vede con gli occhi lucidi e il sorriso fino alle orecchie e gli basta il mio: “Mi terrai la manina?” per capire tutto.
Da quel momento è iniziato un bellissimo Cammino (per certi versi simile a quello di Santiago percorso l’anno precedente) durante il quale mi sono lasciata guidare da una dottoressa speciale che mi ha informata, accompagnata, supportata e sopportata, coccolata e scortata lungo i corridoi dell’ospedale. Il tutto per consentire ad uno sconosciuto bimbo di poco più di due anni, un cucciolo d’uomo che da poco si era affacciato alla vita, di diventare grande e poter godere del calore del sole, come quello che ha illuminato il 20 aprile, giorno della donazione… quale migliore segno di buon auspicio per una Rinascita?
Tante sarebbero le cose da raccontare, ma prima fra tutte l’emozione provata al risveglio dall’anestesia… se chiudo gli occhi e torno a quel giorno, ancora scendono le lacrime di commozione che, per pudore, non sono uscite in quel momento, ma a cui ho dato sfogo non appena tornata in camera: era una gioia incontenibile, era sentirmi piccola piccola di fronte ad un gesto che per qualcuno sarebbe stato grande grande, era la comprensione che niente sarebbe stato più come prima.
Altra emozione: vedendomi arzilla e pimpante, le infermiere mi chiesero se fossi disponibile a parlare con una mamma, che in quel reparto aveva entrambe i figli perché uno dei due avrebbe donato il midollo all’altro il giorno successivo. Era molto preoccupata e avrei voluto saltare giù dal letto e abbracciarla… i suoi occhi, il suo “grazie” anche se per lei non stavo facendo nulla, mi hanno fatto capire l’importanza del dono che avevo fatto a te, fratellino mio. Ho immaginato che quegli occhi fossero quelli di tua mamma, di tutte le mamme e di tutti i padri che, grazie a uno sconosciuto, possono continuare a veder crescere i loro figli.
Circa 6 mesi dopo arriva un’altra telefonata: avevi ancora bisogno di me. Pronti! Stavolta era stata richiesta la donazione da circolazione periferica: ammetto che l’idea di assumere i medicinali non mi piaceva molto, ma il mio cuore ti aveva promesso che sarei stata a tua disposizione anche oltre la prima donazione, quindi è ricominciata la trafila degli esami.
Mi piace pensare che nella prima sacca di midollo ci fosse anche una parte della mia tenacia e capacità di ripresa all’ultimo secondo, perché una settimana prima dell’inizio della terapia arriva una seconda telefonata: il midollo trapiantato ha ripreso a funzionare, quindi non serve la seconda donazione. Bravo guerriero!!
Da quel giorno niente è stato più come prima: ora sto collaborando con l’ADMO nelle giornate di sensibilizzazione nelle scuole e nelle università; da allora ho sempre organizzato e partecipato alle manifestazioni nazionali Ehi tu, hai midollo?” e “Match it now!”, raccontando per tutto il giorno la mia esperienza e le mie emozioni; guardo la medaglietta che ho al collo e penso a te, piccolo-grande gemellino.
Ci sono voluti quasi due anni per riuscire a scrivere per la prima volta una testimonianza, perché ogni volta che ripenso a quel giorno, a tutto il percorso fatto per arrivarci, alle persone e alle storie conosciute in seguito, mi commuovo… le dita si bloccano sulla tastiera… gli occhi si fanno lucidi… e niente è più come prima.
Grazie fratellino.



Ho iniziato a fare dialisi a maggio del 2012, e a parte qualche breve momento di smarrimento, ho sempre cercato di dare il meglio di me e non lasciarmi abbattere da questo "disagio".
A marzo del 2015 sono riuscito a terminare gli studi di giurisprudenza discutendo una tesi su "La questione dei trapianti tra etica e diritto" e come per magia, appena 10 giorni dopo sono stato chiamato dal centro di Firenze per il tanto atteso trapianto di rene.
L'intervento è andato bene. Da allora cerco di vivere la mia vita assaporandola fino in fondo, cercando sempre di fare attenzione e ringraziando ogni giorno chi mi ha donato questa possibilità.
Spero che questa mia testimonianza possa aiutare chi, come me, lotta e ha lottato contro il muro di gomma della dialisi. E anche chi ha perso un figlio, un fratello, un amico.
Concludo questo mio messaggio con la citazione di Lao Tzu riportata sulla mia tesi di laurea: “La gentilezza delle parole crea fiducia.
La gentilezza di pensieri crea profondità.
La gentilezza nel donare crea amore.”

Mi fu inserito un catetere venoso centrale all'altezza del cuore necessario per le chemioterapie e feci il mio ingresso nel reparto di ematologia di Trento. Scoprii che oltre ad essere bello, pulito e con sottofondo musicale, è un reparto chiuso al quale è consentito l’accesso dall'esterno solamente uno alla volta e dopo aver suonato un campanello.
Non sapevo cosa fosse un ricovero ospedaliero e cosa mi aspettasse: pensavo che in 2-3 settimane me la sarei cavata e sarei tornato alla vita di prima. Sbagliavo. Data l’aggressività della malattia, cominciai subito con il primo ciclo di chemioterapia e fui spostato in una camera sterile. Era una stanza piccola con un letto, un tavolino e una televisione. Persi tutti i capelli e forse inconsciamente iniziai a perdere anche i miei sogni per il futuro.
Confesso che essere isolato da tutto e da tutti è stato più devastante delle terapie alle quali sono stato sottoposto.
Giorni lunghi, interminabili, segnati dall'estrema debolezza che con il passare del tempo si sono trasformati in mesi. Chiuso nella mia stanza potevo vedere i miei genitori solo per pochi minuti al giorno: dovevano rimanere ad una distanza di due metri ed indossare mascherina, cuffia e camice. L'unica parte visibile del corpo rimanevano gli occhi e con quelli comunicavamo più che con le parole.
Ricordo giornate intere a contare le piastrelle, altre a leggere un libro, altre ancora a fare un puzzle quando ne avevo le forze. Non avevo nessuno con cui parlare a parte gli infermieri, ma purtroppo loro entravano solo se costretti in modo da preservare la sterilità della stanza.
Il primo ciclo di chemioterapia si rivelò insufficiente e i medici decisero di intervenire tempestivamente col secondo ciclo molto più forte del primo.
Mi sentivo solo, avevo bisogno di persone con cui parlare e così, prendendo spunto da un vecchio film, iniziai a farmi dei nuovi amici: Wilson era il palo di supporto delle flebo, e Doretta, il tubicino del catetere venoso centrale che usciva dal mio petto. Loro erano sempre con me.
Il secondo ciclo di chemioterapia si rivelò insufficiente per combattere il tumore. L'unica speranza che mi rimaneva di sopravvivere era trovare un donatore compatibile per un trapianto di midollo osseo, ma serviva presto anzi prestissimo: i medici mi avevano dato solo due mesi di vita.
Il mio futuro dipendeva, quindi, da una persona che viveva in chissà quale parte del mondo e che speravo fosse iscritta al registro dei donatori e accettasse di donarmi una nuova vita. Straordinariamente, dopo un mese e mezzo di ricerche, riuscirono a trovare il mio donatore.
Fui trasferito al reparto di Ematologia di Bolzano per l'ultimo ciclo di chemioterapia che doveva distruggere definitivamente il mio midollo osseo così da poter ricevere quello del mio donatore. Il 7 novembre 2014, stremato e al limite delle forze, vidi entrare in camera un angelo che aveva in mano l'unica mia speranza di sopravvivenza. Nelle 2 ore successive non staccai lo sguardo da quella sacca rossa perché volevo vedere ogni goccia della mia nuova vita entrare nel mio corpo. Non ho molti ricordi dei giorni successivi al trapianto; le mucose cominciarono a staccarsi sia in bocca che in tutto il corpo, e il dolore mi costringeva ad assumere alti dosi di morfina. Solo un mese e mezzo più tardi quando cominciai a nutrirmi da solo potei tornare a casa anche se sempre sotto stretta sorveglianza e quindi ancora in isolamento.



5 anni e mezzo fa all’improvviso i reni iniziano a crescere e in brevissimo tempo diventano enormi. Iniziano i problemi: cisti che si rompono, dolori forti, ecc… Mio marito sì offre di donarmi un rene. Mi consulto con il mio nefrologo, dott Massimo Punzi, e, viste le peculiarità del mio caso, decidiamo di rivolgerci a Pisa. Lì incontro il grande Prof Fabio Vistoli, che ci spiega bene cosa fare. Così cominciamo tutto l’iter di controlli sia per me che mio marito durati quasi 2 anni. L’esito è che la compatibilità tra noi è ottima, solo il gruppo sanguigno era diverso ma con una profilassi mia da seguire prima dell’intervento si sarebbe potuto fare.
Purtroppo due disgrazie familiari: la morte di mia suocera e quella di mio fratello subito dopo, ci bloccarono un po’ il percorso.
Poi cominciamo: intervento di accesso vascolare braccio sinistro 15 6 2016 effettuato dal dott Punzi a Salerno, intervento di nefrectomia destro effettuato il 20 07 2016 a Pisa dal prof Ugo Boggi e prof Fabio Vistoli. Dopo questo secondo intervento, non essendo possibile effettuare subito il trapianto, inizio la dialisi a Salerno. Un’esperienza che non auguro a nessuno: anche se avevo mia mamma e mio fratello in dialisi e già sapevo cosa fosse, viverla sulla propria pelle è un altra cosa.
Nel frattempo il prof Vistoli ci comunica che possiamo fare il trapianto tra coniugi facendo la profilassi per il gruppo sanguigno prima, oppure ci sarebbe la possibilità di fare un cross match con un altra coppia, i n cui i coniugi non erano compatibili tra loro.
Accettiamo questa seconda ipotesi. Il 6 dicembre 2016 entriamo in sala operatoria tenendoci per mano.
Ora dovrò subire un altra nefrectomia, ma non mollo. Si va avanti e posso solo dire che tutto questo mi ha insegnato tante cose buone e negative. Ho incontrato tantissime persone, mi sono accorta che c’è tanta disinformazione e ignoranza.
Ma voglio dire grazie in primis a mio marito, e so che non lo ringrazierò mai abbastanza. Poi al dott Massimo Punzi, al prof Fabio Vistoli, a tutti i dottori, gli infermieri e le coordinatrici del 4 e 5 piano del padiglione 6 del Cisanello di Pisa. A tutti i dottori, gli infermieri e a tutto lo staff del centro dialisi Nephrocare di Salerno. All’altra coppia che ha fatto il trapianto con noi, alla mia famiglia e a quella di mio marito, ai i nostri amici, al mio titolare di lavoro e a tutte le belle persone che ho incontrato.



La prima volta che ho sent...

La prima volta che ho sentito parlare di cirrosi è stato nel 2008 all'eta di 46 anni.
Mi fu diagnosticata del tipo Criptogenica (non si conosce l'appartenenza). Ho scoperto in seguito che, nonostante non avessi mai fatto uso di alcolici o fumo, avevo il fegato malato. A poco a poco ho cominciato a capire a cosa andavo incontro, e ho realizzato che, come me, migliaia di persone sono affette da gravi malattie agli organi. Nella mia più completa ignoranza, mi fu raccomandato che dovevo farmi seguire dall'ISMETT (centro trapianti per la Sicilia).
A forza di controlli e cure arrivai al giugno del 2011, quando il mondo improvvisamente mi è caduto addosso: ero entrato nella fase dell’ascite. Ho cominciato a gonfiarmi, il mio corpo aveva accumulato troppi liquidi. Per la prima volta sentii parlare di paracentesi. Allora scoprii anche che l'Ismett non poteva aiutarmi: dovevo prima entrare nelle liste d'attesa per poi essere trapiantato. C’erano più di 9.000 persone in attesa. Mi demoralizzai molto. Capii quanto bisogno ci fosse di donatori, considerando che ogni anno aumenta il numero di persone bisognose di trapianto.
Così andai in un altro centro trapianti. Dopo un lungo ricovero mi ero ristabilito, e mi avevano anche posizionato un bypass che mi permetteva di non produrre più liquidi. Nacque però il problema dell’encefalopatia, ad aumentare le preoccupazioni mie e della mia famiglia, dopo che con le tossine avevo già perso le capacità di controllo, obbligando mia moglie ad intensificare la vigilanza su di me.
Di nuovo il mio benessere non era destinato a durare: dopo appena 11 mesi le forze mi abbandonarono. Mandai le mie analisi al centro che mi aveva curato, la risposta non si fece attendere: dovevo presentarmi il prima possibile, un posto letto mi aspettava.
Ricordo ancora l'assistenza aeroportuale: ormai non riuscivo più a camminare.
Passò un altro mese, i medici avevano preparato il mio corpo per affrontare il trapianto. Dopo altri 15 giorni arrivò la mia chiamata. Il telefono squillò mentre stavamo sistemando un po' di spesa in frigo. Quando vidi il numero dell'ospedale un brivido mi attraversò: una voce mi pregava di fare subito rientro in reparto. Non sapevo se ridere o piangere se essere triste o felice, con Giusy(mia moglie) ci guardammo negli occhi e capimmo che il destino si era compiuto. stavamo vivendo insieme tutte le emozioni, cercavamo di darci conforto l’un l'altro.
La notte del 23 ottobre, fu lunga. Giusy restò con me (ci stringemmo nel lettino) fino a quando entrando in sala operatoria, poi ci divise la grande vetrata: per me iniziava un lungo viaggio. Entravo nel tunnel senza sapere sé e quando sarei uscito.
Tutto era strano, niente aveva un senso, vedevo solo luci bianche, avevo la sensazione di Quando mi svegliai avevo davanti a me Giusy. Piansi tanto, credo che nonostante tutto fossi preoccupato per lei, i ragazzi, la famiglia; sapevo di dover lottare, non potevo abbandonarli, sentivo che avevano ancora bisogno di me. E poi? Beh, se mi avete letto fino a qui, potete immaginare il resto. Sto vivendo la mia seconda vita senza sciupare un solo attimo, apprezzandola con tutte le sue bellezze, divulgando e promuovendo l'amore per essa.

Tutto...

Tutto ebbe inizio il 19 gennaio 2009, quando a causa di quello che sembrava un semplice mal di pancia senza altri sintomi, nel giro di 3 ore mi ritrovai in coma nella sala emodinamica dell’ospedale di Perugia, “S. Maria della Misericordia“.
Il mio cuore aveva smesso di battere, nonostante i medici avessero tentato per ben tre volte di farlo ripartire. Ma ogni volta dopo pochi battiti si ri-fermava senza mostrare alcun segno di miglioramento. A quel punto ai medici di Perugia non restò che collegare il mio corpo all’ecmo (un apparecchio capace di svolgere le funzioni demandate a cuore e polmoni ).
Mia moglie nel frattempo era arrivata a Perugia, io ero già entrato in coma. E senza neppure vedermi ha dovuto esprimere il consenso perché mi venisse applicato l’apparecchio necessario a tenermi in vita.
Fu lì che apprese che la mia unica speranza di salvezza era il trapianto di cuore.
Ma un cuore da trapiantare non è semplice da trovare e pertanto con l’ecmo applicato, fui trasferito su un aereo c130 dell’aeronautica militare dall’ospedale di Perugia ad un altro centro trapianti, dove mi applicarono un altro cuore artificiale denominato Incor.
Il mio coma durò 47 giorni, giorni lunghissimi durante i quali i medici che mi avevano in cura, nonostante mi avessero inserito nella lista d’attesa per il trapianto, disperavano di riuscire a salvare la mia vita.
E invece, dopo 47 giorni appunto, mi risvegliai. Vi lascio immaginare come mi sono sentito nel momento in cui mi hanno detto che il mio cuore non funzionava e avevo bisogno di un nuovo cuore per poter vivere.
Dopo circa tre mesi da quel 19 gennaio, dopo varie peripezie mi fu consentito di alzarmi dal letto. Mi sembrava di volare, anche se volare non potevo, poiché ero in vita solo per un macchinario che dovevo portarmi addosso sempre , con un cavo che mi fuoriusciva dal fianco, attaccato alla corrente e ad un computer per rilevare i dati.
Sono stato 11 mesi e mezzo in attesa di un cuore, la mia vita si svolgeva quasi sempre in ospedale. Pur avendomi fatto uscire e andare in albergo, ogni giorno facevo medicazioni.
È difficile comprendere come ci si possa sentire in certe situazioni: vi dico che si sta malissimo. Fisicamente e mentalmente. I pensieri più brutti, più allucinanti fanno parte della tua quotidianità.
Solo grazie alla forza della famiglia e ad alcuni amici sinceri conosciuti in ospedale, dell’associazione ( acti di torino) che mi hanno sostenuto in tutto, sono riuscito a superare il mare in cui stavo annegando.
Poi alle 18,30 del 21 dicembre 2009 arriva la fatidica telefonata: la dottoressa mi dice che forse un cuore è stato trovato, devo andare subito in ospedale. È stato un momento indimenticabile: l’ansia, la gioia, il dolore, la voglia di rivivere arrivarono in un istante . Arrivai in ospedale, dove ero atteso, e dopo aver svolto tutti i prelievi del caso (Dracula mi avrebbe preso meno sangue), alle 23 ,30 entrai in sala operatoria.
L’intervento vero e proprio iniziò all’una ed un quarto circa. I dottori mi chiedevano se avessi paura e sapevo cosa dovevo fare. Ho solo risposto: sono tranquillo. Avevo la mia famiglia fuori che mi aspettava e non chiedevo altro. Pensavo, ci sarà una nuova vita dopo.
Mi sono svegliato il giorno 24 mattina con il cuore che mi batteva dentro. Non avevo più quel cuore artificiale. Finalmente risentivo battere un cuore dentro di me. Che miracolo aveva fatto il trapianto nella mia vita! Grazie ad un angelo che nella sua disgrazia ha potuto far rivivere altre persone come me! Grazie angelo mio, custodirò sempre l’immenso dono che mi hai fatto.



Ho iniziato a fare dialisi a maggio del 2012, e a parte qualche breve momento di smarrimento, ho sempre cercato di dare il meglio di me e non lasciarmi abbattere da questo "disagio".
A marzo del 2015 sono riuscito a terminare gli studi di giurisprudenza discutendo una tesi su "La questione dei trapianti tra etica e diritto" e come per magia, appena 10 giorni dopo sono stato chiamato dal centro di Firenze per il tanto atteso trapianto di rene.
L'intervento è andato bene. Da allora cerco di vivere la mia vita assaporandola fino in fondo, cercando sempre di fare attenzione e ringraziando ogni giorno chi mi ha donato questa possibilità.
Spero che questa mia testimonianza possa aiutare chi, come me, lotta e ha lottato contro il muro di gomma della dialisi. E anche chi ha perso un figlio, un fratello, un amico.
Concludo questo mio messaggio con la citazione di Lao Tzu riportata sulla mia tesi di laurea: “La gentilezza delle parole crea fiducia.
La gentilezza di pensieri crea profondità.
La gentilezza nel donare crea amore.”
